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  >  SCOPRIRE ROMA   >  La cucina romanesca: elogio del “quinto quarto”

Del mio amore per i mercati agro alimentari e in particolare per quello rionale di Testaccio vi ho già parlato nel mio precedente articolo su A day in Rome.

Quindi mi pare una logica conseguenza inaugurare la sezione dedicata alle ricette da condividere con il pubblico di A Day In Rome con una ricetta rappresentativa non solo della cucina “romanesca”, il che mi pare perfetto su un blog che condivide l’amore per questa straordinaria città, ma più che mai una ricetta di cucina “testaccina”.

Il quartiere di Testaccio, oggi largamente rivalutato sia come meta turistica ma anche come zona residenziale particolarmente ambita, data la sua centralità e la grandissima offerta di locali e ristoranti, in passato era considerato un quartiere popolare di periferia. Non a caso, difatti, proprio qui aveva sede l’antico mattatoio della capitale, una struttura enorme (ora in disuso) che oggi è stata in parte restaurata, riabilitata e recuperata e ospita attualmente alcuni spazi espositivi (anche se nella maggior parte della struttura originale è ancora, purtroppo, in uno stato di abbandono).

Al “Mattatoio” (come ancora viene chiamato da tutti i romani) venivano dunque macellati gli animali destinati alla produzione di carne che poi riforniva i negozianti di tutta la città. Naturalmente i tagli più pregiati, cioè i due quarti anteriori e i due posteriori dell’animale, erano a pannaggio dell’acquisto solo da parte delle famiglie più nobili e benestanti. Tutte le parti commestibili che rimanevano dalla lavorazione venivano invece ventude “al popolo” a prezzi decisamente più a buon mercato ed è da qui che questi tagli vengono definiti “quinto quarto” e trovano impiego nella cucina tradizionale e popolare romanesca, indissolubilmente legata a questo quartiere della città.

Molti dei piatti della tradizione popolare romanesca, infatti, hanno origini umili, ricette dove l’arte del riciclo e l’utilizzo di ingredienti un tempo ritenuti “di scarto” trovano la loro massima espressione.

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La coda di manzo (anche se nel mio caso ho preferito usare quella di vitella, più tenera rispetto alla prima) è dunque un taglio che fa parte a pieno titolo della categoria del “quinto quarto” ma è ricchissima di sapore e perfetta per le lunghe cotture, oltre ad essere ideale per arricchire di sapore un buon brodo di carni miste. La (poca) carne e le cartilagini attaccate all’osso, infatti, cuocendo rilasceranno molto sapore diventando tenerissime, quasi a sciogliersi letteralmente in bocca. Cottura prolungata e fuoco lento sono infatti il segreto per cucinare non solo la coda ma la maggior parte dei tagli del quinto quarto, che per loro natura non sono teneri come le parti più nobili dell’animale, ma per questo motivo arricchiscono di sapore anche gli intingoli più semplici in cui vengono cotti.

Al giorno d’oggi la cucina del quinto quarto sta venendo sempre più riscoperta ed apprezzata anche da un pubblico più vasto, vivendo così un momento di nuova gloria e riscuotendo un grande successo anche in molti ristoranti, dove viene rivisitata e riproposta non più come piatto umile e casalingo ma anche presentata in preparazioni più raffinate.

Ciò nonostante, i tagli del quinto quarto sono, comunque, ancora piuttosto a buon mercato; la ricetta di oggi, infatti, ne è un esempio: potete tranquillamente sfamare 4 persone con primo e secondo per un costo totale intorno ai 10 Euro.

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Vi lascio quindi con la mia personale versione della coda alla vaccinara e, soprattutto, del suo fenomenale intingolo con cui condire un piatto di pasta che oserei definire commovente, di grande conforto, perfetto per un pranzo della domenica dell’inverno che sta per cominciare: i rigatoni col sugo di coda alla vaccinara.

Buon appetito e a presto!

Barbara

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STUFATO DI CODA ALLA VACCINARA (a modo mio) 

Per 4 persone:

1 coda di vitella tagliata a tranci di circa 6-8 cm

1 mazzo di sedano

2 carote

1 cipolla grande

1 spicchio d’aglio

4-5 cucchiai di passata di pomodoro*

vino bianco secco

1/2 peperoncino

olio e.v.o., sale, pepe nero macianto al momento

brodo di carne q.b.

prezzemolo tritato

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Per i rigatoni al sugo di coda

Per 4 persone:

320 g di pasta formato rigatoni

stufato di coda q.b.

30 g di burro

6 cucchiai di parmigiano e pecorino grattugiati in parti uguali

pepe nero macinato al momento in abbondanza

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Innanzitutto preparate lo stufato di coda: lavate e asciugate la carne con carta da cucina. In una cocotte adatta alle lunghe cotture (in ghisa o in terracotta), scaldate 3 cucchiai di olio e fate rosolare bene i pezzetti di coda da tutti i lati.

Mondate il sedano, tagliate la parte alta con le foglie e tagliate le coste a trancetti di 4-5 cm che poi dividerete a bastoncini. Pelate e affettate le carote e la cipolla. Quando la carne sarà ben rosolata, sfumate con una spruzzata di vino bianco e fatelo evaporare. Aggiungete la passata di pomodoro e tutte le verdure, incluso l’aglio sbucciato e schiacciato e il peperoncino. Salate leggermente e coprite con un coperchio. Fate cuocere a fiamma bassissima per circa 2 ore e 30 – 3, fino a quando le verdure non si saranno in parte disfatte e la carne si staccherà facilmente dall’osso. Quando necessario, per mantenere il fondo ben umido, aggiungete un po’ di brodo di carne caldo. A fine cottura, staccate la carne dalle ossa e scartatele, con una fochetta sfilacciate il più possibile la carne e le cartilagini che nel frattempo saranno diventate tenerissime e mescolate bene il tutto. Aggiungete solo alla fine il prezzemolo tritato finemente.

Cuocete la pasta al dente, scolatela e conditela in una ciotola con un quantitativo sufficiente dell’intingolo dello stufato, a vostro gusto, compresi alcuni pezzetti di carne. Unite il burro e circa la metà del mix di parmigiano e pecorino. Mescolate bene e dividete nei piatti. Ultimate con una spolverata di pepe e il restante formaggio.

Mangiate subito e senza sensi di colpa!

 io non amo usare la passata di pomodoro, perciò preferisco frullare con un mixer ad immersione una scatola di pomodori pelati di buona qualità e usare la purea ottenuta.

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Foto © Barbara Toselli